L'abito

Dinanzi alla specchiera osservavo la silhouette del mio corpo compiaciuta per l'abito che avevo indosso, ma soprattutto del sex appeal che sprigionava l'ampio décolleté.
Il vestito da sera, impreziosito con lustrini argentati, era confezionato con un tessuto semitrasparente fra il vedo e il non vedo. Smaniavo dalla voglia di mostrarmi in pubblico con quell'abito. L'occasione l'avrei avuta da lì a poco quando con Ombretta sarei andata al Gatto Turco, una balera alla periferia della città, per il veglione di fine anno.
Diedi una sistemata al reggiseno, privo di spalline, persuasa d'avere nelle tette un'appetitosa arma di seduzione. Avevo i capezzoli turgidi per la troppa l'eccitazione. Le punte, fin troppe estese, ambivano trapassare il sottile tessuto dell'abito per mostrarsi nell'ingombrante spessore.
Ero consapevole che per essere reputata sexy non era necessario che mi mostrassi senza veli, ammiccando in modo provocante agli uomini che a tarda notte avrebbero fatto di tutto per scoparmi, circuendomi con apprezzamenti d'ogni genere. Un sorriso, uno sguardo malizioso, e delle movenze flessuose sarebbero state molto più provocanti che mostrarmi nuda, persuasa che sapere provocare è un'arte che si lascia anche vestire e non solo spogliare, come mi era capitato di leggere sulle pagine patinate di Novella 2000.
Guardandomi allo specchio ero certa che le mie amiche avrebbero fatto chissà quali congetture sulla provenienza dell'abito, ma ero altrettanto decisa a non rivelare d'averlo acquistato ai magazzini dell'Oviesse. Non mettevo piede in una boutique da un paio d'anni. Appagavo la mia curiosità trattenendomi dinanzi alle vetrine, soddisfacendo le mie necessità facendo compere nei bancali degli ambulanti, oppure approfittando dei saldi proposti nei grandi magazzini. Vestivo con abiti di poco prezzo, confezionati con tessuti di scarsa qualità, senza darmi pensiero dei vestiti esposti nelle vetrine delle boutique. Una sola volta, prima di sposarmi, mi ero concessa alcuni capi di biancheria intima firmati dalla Perla.

L'azienda di cui ero alle dipendenze mi aveva licenziata La proprietà della fabbrica in cui avevo lavorato per vent'anni, una s.p.a. con sede in Svizzera, di cui molti operai possedevano delle azioni, si era premurata di inaugurare uno stabilimento nella Cina meridionale realizzando in quel paese gli stessi manufatti che produceva nella vecchia fabbrica, ma con costi di mano d'opera di gran lunga inferiori. Ero stata inserita in un programma di mobilità con un assegno mensile di seicentocinquanta euro, e con scarse prospettive di essere assunta da una qualsiasi altra azienda stante la grave recessione economica.

L'abito da sera mi era costato duecento euro, poco meno di un terzo del valore dell'assegno di mobilità che percepivo mensilmente. Una cifra senza dubbio eccessiva per le mie tasche, tant'è che per acquistarlo avevo fatto ricorso ai risparmi messi da parte in caso di necessità. Sopravvivevo facendo economie su tutto, lesinando i centesimi persino nella spesa del pane che avevo cessato d'acquistare dal fornaio per produrlo con le mie mani dentro casa. Rare volte andavo all'ipermercato, acquistavo ciò di cui avevo necessità al discount sotto casa anche se la qualità dei prodotti messi in vendita molto era molto scadente.
La separazione da mio marito era coincisa con il mio licenziamento dalla fabbrica. Una sera tornando a casa mi confessò d'intrattenere una relazione con un'altra donna. Se ne andò di casa lasciandomi un unico bene come ricordo: una Panda vecchia di quindici anni di cui ero l'intestataria. Forse voleva farmi capire che anch'io ero da rottamare.

Alla guida della piccola utilitaria attraversai la città. Con Ombretta ero rimasta d'accordo che sarei passata a prenderla alle dieci in punto, dopodiché saremmo andate al Gatto Turco per il veglione di capodanno. Lì avremmo incontrato Flora e Adriana ed i quattro uomini di cui né Ombretta né io conoscevamo l'identità, anche se eravamo impazienti di fare la loro conoscenza.
Dopo i lunghi mesi trascorsi a compiangermi avvertivo la necessità di stare in compagnia di qualcuno che si prendesse cura di me. Da quando mio marito se n'era andato di casa avevo ricominciato a masturbarmi. Ci avevo fatto il callo alle dita a forza di sfregarle sul clitoride, ma avevo voglia di ricominciare a scopare per sentirmi una vera donna. Prima di uscire di casa avevo speso qualche centesimo di euro parlando al telefono con Ombretta comunicandole che stavo per raggiungerla.
- Tutto bene? - chiese dopo essersi seduta al mio fianco sul sedile della Panda.
- Sì, tutto Okay! - dissi.
- Emozionata?
- Non riesco a capacitarmi che sto andando a una festa.
- Mica siamo galline vecchie, siamo solo un po' stagionate. - disse accompagnando la frase con una risata.
Alla guida della Panda ero a disagio. Ai piedi calzavo un paio di scarpe dai tacchi a spillo ed avevo difficoltà nel manovrare il pedale della frizione e quello dell'acceleratore. Per fortuna la strada era sgombra di autovetture e non fui costretta ad azionare di continuo il cambio delle marce.
- Mi sento a disagio all'idea di trascorrere la serata con degli uomini di cui non conosco l'identità. Sai chi sono?
- No, ma che t'importa?
- E non sei curiosa di sapere qualcosa di loro?
- Tutte brave persone, eh! Sono amici di Flora e Adriana.
- Beh, allora siamo a posto!
- Perché dici così?
- Niente, niente.
- Ma cosa ti aspettavi di essere corteggiata da Raul Bova o da Costantino?
Incominciai a ridere e lei fece lo stesso contagiata dalle mie risa.
- Ma lo sai che Costantino prima di diventare famoso si esibiva nei locali gay eseguendo degli spogliarelli? - dissi.
- Ma, dai, non ci credo.
- L'ho letto su di una rivista. Non ricordo se era Novella 2000 oppure Visto... boh.
- Ne raccontano tante di stronzate i giornali scandalistici. Se vuoi sapere cosa ne penso... allora ti dirò che non credo a nessuna delle storie che raccontano quelle riviste.
I giornali di gossip erano il mio passatempo preferito. Mi soffermavo a guardare le foto di star del cinema e quelle dei divi della televisione sorpresi seminudi in compagnia di sconosciute o donne altrettanto famose. I rotocalchi mi consentivano di curiosare dentro un mondo dorato che avrei desiderato fosse il mio.
- Sistema la macchina là, vicino al lampione, così quando usciamo dal Gatto Turco la troviamo senza tribolare. - disse Ombretta nel momento in cui raggiungemmo il parcheggio della balera.
Quando scesi dalla vettura mantenni la pelliccia sbottonata. Speravo che Ombretta si accorgesse dell'abito che avevo indosso, cosa che non tardò a notare.
- Accidenti come sei elegante! In macchina non m'ero accorta dell'abito che hai indosso, ma lo sai che sei fica da morire?
- Dici? Avevo bisogno che qualcuno me lo dicesse, grazie!
- Non scherzo, affatto, sei una bomba.
- Anche tu. - mentii.
Sono consapevole che nessun oggetto di abbellimento esprima meglio dei tacchi a spillo la femminilità, ma è altrettanto vero che camminare con un paio di scarpe provviste di un tacco di 10 centimetri non è facile per chiunque ed io non ci sono abituata. Mi muovevo con difficoltà sul manto stradale mantenendo un equilibrio instabile, ma le avevo indossate perché non volevo rinunciare all'accostamento del tacco alto con l'abito nero. E poi le scarpa, come avevo avuto modo di guardarmi allo specchio prima di uscire di casa, slanciavano le gambe dalla caviglia in su affusolando i polpacci.
Lasciai il cappotto al guardaroba ed entrai nella sala da ballo in compagnia di Ombretta. Un cameriere in abito scuro e papillon ci condusse al tavolo occupato da Silvia e Beatrice. Le presentazioni con gli altri ospiti furono brevi. Mi accomodai accanto a Ombretta mentre alla mia destra si sistemò Alberto, un marcantonio alto più di un metro e ottanta, perfettamente abbronzato, fornito di capelli fluenti, scuri, spalmati di gel. L'aspetto esteriore di Alberto metteva una certa soggezione, soprattutto per l'esagerata prestanza fisica dei pettorali. Solo più tardi venni a sapere che lavorava come macellaio presso un ipermercato della città e questo particolare la diceva lunga sulle sue doti fisiche.

La prima parte della serata trascorse in modo divertente, come non mi succedeva da tempo. Avevo voglia di compagnia, fare quattro salti sulla pista da ballo, e divertirmi. Prima che scoccasse la mezzanotte avevo danzato con ognuno degli uomini seduti al nostro tavolo arginando le loro avance. Verso l'alba le danze latinoamericane lasciarono il posto a balli lenti, allora rimasi appiccicata per tutto il tempo ad Alberto. Mi sentivo ridicola mentre danzavo con lui. Il mio metro e cinquantasei, associato ai 60 chili di peso, era poca cosa rispetto alla sua prestanza fisica. Mentre ballavamo percepivo il cazzo che premeva contro il mio addome, ed era una deliziosa sensazione. Nel momento in cui lasciò cadere entrambe le mani sul mio fondoschiena, artigliandomi le natiche, non l'ostacolai e lasciai che si prendesse cura del mio culo nella maniera che desiderava. Restammo appiccicati uno all'altra per lungo tempo, strusciandoci a vicenda, ballando su una mattonella.
Ero eccitata e non desideravo altro che mi trascinasse lontano dalla pista da ballo o magari nel cesso per scopare, ma pareva non decidersi a farlo. Non vedevo l'ora di stringere il cazzo nella mano, masturbalo, e spompinarlo come non facevo più da tempo. Rimasi aggrappata come una ventosa al suo petto fino al momento in cui scelse di staccarsi da me. Trattenendomi per la mano mi fece attraversare la sala da ballo e mi trascinò fuori del locale senza premurarsi di farmi indossare il cappotto.
La volta celeste era affollata di stelle e la cosa mi sorprese non poco. Lo spazio confinante con il Gatto Turco era occupato da carcasse di autovetture e da rottami. Durante la corsa incespicai più volte nel terreno ghiaioso a causa dei tacchi a spillo che mi erano d'ostacolo nel camminare, malgrado ciò rimasi affrancata ad Alberto.
Al cospetto dello scheletro di un'autovettura Alberto si collocò con la schiena contro la portiera dell'auto e mi attirò a sé. Non pronunciò una sola parola, ma non ce n'era bisogno. Lasciò cadere le labbra sulla mia bocca e mi baciò. Il contatto fu delicato, molto delicato, collocò le labbra sulle mie accrescendo il desiderio che avevo di essere posseduta. Il mio corpo fu attraversato da intensi brividi quando decise di penetrarmi infilando la punta della lingua nella mia bocca e ne fui compiaciuta. Ricambiai il gesto aspirandola, trattenendola dentro di me più che potevo, facendo passare subito dopo la mia lingua fra le sue labbra.
Restammo a crogiolarci, annodati uno all'altra, accrescendo la passione che ci divorava. Le sue mani presero a solleticarmi i capezzoli. A quei tocchi trasalii per il piacere che sapeva trasmettermi. Desideravo che mi scopasse al più presto, ma volevo che fosse lui a prendere l'iniziativa. Io gli avrei messo a disposizione tutto il mio corpo.
Conquistata dal calore delle carezze non feci troppo caso alla gelida temperatura dell'aria, occupata com'ero a godere del piacere che sapevano trasmettermi i baci e le carezze. Tutt'a un tratto m'infilò la mano sotto la veste e l'accostò sopra una coscia. La fece salire sino all'inguine e si affrettò a deporla sotto l'esile tessuto del perizoma che occultava le parti intime del mio corpo. Avvertii le dita carezzarmi le labbra umide della passera fradicia d'umore e trasalii mugolando di piacere.
Attraversò con un dito la fessura della passera insinuandosi nei lembi più delicati e morbidi del mio corpo. Sobbalzai e cercai di serrare le pareti della passera impaziente d'essere scopata da qualcosa di più consistente. Alberto mi prese la mano e l'accompagnò sulla patta dei pantaloni, abbassai la lampo e una volta liberato il cazzo m'impossessai della cappella trattenendo il tutto nella mano.
Alberto era equipaggiato con un cazzo adeguato alla misura della sua statura. Iniziammo a masturbarci a vicenda gemendo di piacere per gli stimoli provocati dai toccamenti. Seguitammo a scambiarci baci e carezze senza interrompere la nostra azione. Tutt'a un tratto cinse le mani attorno al mio capo e mi spinse verso il basso. Mi ritrovai inginocchiata con gli occhi rivolti verso l'alto, accovacciata sui talloni, con il cazzo davanti alla bocca.
Non esitai un solo istante a succhiarlo cominciando dall'estremità della cappella, leccandogliela tutt'attorno prima di ingoiarla per intero, facendo seguire il resto del cazzo nella bocca, senza però raggiungere la radice. Reiterei il movimento più volte, in breve successione, godendo del piacere che sapeva darmi la penetrazione del cazzo fra le labbra.
Desideravo che non eiaculasse troppo alla svelta per godere a lungo del prezioso tesoro che muovevo fra le labbra mentre tenevo gli occhi fissi verso l'alto cercando di intuire nel buio della notte l'espressione del volto di Alberto. Succhiavo il cazzo trattenendolo con la mano alla radice, allarmata per i ricorrenti movimenti che Alberto eseguiva con le natiche che spingeva in avanti insieme al cazzo. Seguitai a lungo a spompinarlo fintanto che si levò via e mi obbligò a distendermi con l'addome sopra il cofano della vettura. Da dietro mi sollevò la gonna e la stirò sopra la schiena, poi si adoperò intorno al perizoma facendolo scendere sotto le ginocchia, fino alle caviglie, sino a levarmelo completamente di dosso.
Animato dalla smania di scoparmi mi costrinse a divaricare le gambe. Dalla posizione in cui mi ero venuta a trovare, chinata con l'addome sul cofano dell'autovettura, non mi riuscì di vedere cosa stesse combinando alle mie spalle. Percepii la morbidezza della cappella nell'intimo della figa e subito dopo mi penetrò. Era quello che desideravo dopo avere avuto sentore della consistenza del cazzo mentre ballavamo stretti uno all'altra. Smaniavo per la voglia di raggiungere al più presto uno e più orgasmi, consapevole che ero nella situazione ideale per riuscirci.
Alberto mi sbatté il cazzo nella figa con movimenti lenti, tenendomi ancorata al cofano con la forza delle braccia appoggiate ai miei fianchi. Avevo l'impressione che non fosse partecipe come lo era stato fino a qualche istante prima e non mi sbagliai, infatti, poco dopo emise due bestemmie e sembrò andare su tutte le furie.
- Puttana! Ce l'hai così larga che non so nemmeno se ce l'ho nella figa o no, dannazione!
Sconcertata per il tono offensivo delle sue umilianti parole provai a sollevarmi dalla scomoda posizione in cui mi ero venuta a trovare. Non riuscii a svincolarmi dalla stretta delle braccia che mi circondavano. Dopo essersi staccato da me rimase qualche istante fermo alle mie spalle, poi avvertii le dita della sua mano tastarmi l'orifizio dell'ano e tentare d'incunearsi con un dito. Cercai di divincolarmi, ma non ci riuscii. Fui costretta a subire l'irruzione di quel corpo estraneo nel culo che si premurò di fare scorrere nello sfintere.
Ero conscia di ciò che gli stava passando per la mente, ma non volevo essere inculata. Mario, il mio ex marito, ci aveva provato a convincermi ad essere sodomizzata nel didietro, ma dopo alcuni maldestri tentativi ci avevamo rinunciato.
Gridai per il dolore, infastidita per la violenza che Alberto stava mettendo in atto e glielo dissi urlando, scongiurandolo di non proseguire nel suo intento. Dopo avermi inumidito l'ano di saliva calcò la cappella contro lo sfintere e forte del peso delle minacce con cui aveva incominciato ad inveire sospinse il cazzo nell'ano facendomi urlare per il dolore.
- Ecco, è proprio come sospettavo, ce l'hai stretto il tuo buchetto, eh...
Proseguì nel sodomizzarmi entrando e uscendo più volte con la cappella dal culo fintanto che eiaculò riversandomi lo sperma nella cavità, solo allora si ritrasse lasciandomi sola col mio dolore coricata sul cofano della carcassa dell'autovettura a piangere.

L'abito da sera con cui ho partecipato al veglione di fine anno sta appeso ad una gruccia nell'armadio della stanza da letto, non l'ho più indossato dopo la sventurata nottata al Gatto Turco. La settimana scorsa, qualche mese prima che scadesse il periodo di mobilità, ho ricevuto una convocazione dall'Ufficio Provinciale del Lavoro. Mi è stata proposta un'occupazione come cassiera presso un ipermercato della città ed ho accettato il nuovo lavoro.