Mare d'inverno

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Omega™
view post Posted on 8/1/2009, 17:36




La locomotiva arrestò la corsa bloccando il resto del convoglio dinanzi alla pensilina. Abbandonai la carrozza di fretta, unica fra i viaggiatori a scendere nella piccola stazione a strapiombo sul mare. Il treno riprese subito la corsa e scomparve alle mie spalle infilandosi nella volta di una galleria.
La linea ferroviaria, nel tratto che attraversa le Cinque Terre, scorre a breve distanza dal mare, sottratta alla vista da un'infinità di gallerie, ma con ampi tratti a cielo aperto. Il treno su cui avevo viaggiato effettuava fermate in ogni stazione, anche le più piccole del tratto di costa ligure che da Riomaggiore conduce a Monterosso.
Durante le ore di viaggio avevo occupato il tempo leggendo le pagine di un romanzo, ma soprattutto fantasticando ad occhi aperti, interrogandomi su Annette.
Accostai la sciarpa intorno al mento per ripararmi dall'aria fredda della sera. Con la borsa da viaggio tracolla m'incamminai sulla banchina della pensilina. Andai diritta verso il sottopassaggio che conduce all'uscita della stazione ferroviaria, impaziente di raggiungere l'albergo dove Annette aveva prenotato la camera. Assuefatta alle nebbie della pianura rimasi rapita dal profumo di salsedine, sospeso nell'aria, e questo mi restituì il buonumore perduto durante le lunghe ore di viaggio.
L'albergo dove ero diretta distava qualche centinaio di metri dalla stazione ferroviaria. Non era la prima volta che ci mettevo piede. Annette ed io ci andavamo ad intervalli regolari occupando la medesima camera; la numero 21, quella che un tempo aveva ospitato mamma e papà.
La stretta strada che dalla stazione ferroviaria conduce al lungomare era male illuminata. I lampioni pendenti dai muri delle case, disposti a una distanza di una decina di metri uno dall'altro, lasciavano ampi tratti di strada spogli di luce. Ogni volta che mi trovavo a percorrere gli stretti viottoli dell'angiporto mi prendeva una dannata paura, e non vedevo l'ora di uscire da quel labirinto di strade.
Affrettai il passo senza girarmi indietro, attenta ai rumori che provenivano alle mie spalle, procedendo spedita, desiderosa di raggiungere al più presto la banchina che costeggia il lungomare.
Un vento fresco spirava dal mare verso terra trascinando enormi cavalloni di cui scorgevo le creste di schiuma bianca. Percorsi un breve tratto di lungomare in compagnia di gabbiani sospesi a mezz'aria, incalzata dal vento, poi attraversai la strada portandomi sul marciapiede opposto alla banchina dove avevo camminato fino a poco prima.
Da poco il sole si era inabissato nel mare ed era scomparso all'orizzonte. In giro per il paese c'era soltanto qualche coppia di pensionati venuti al mare a svernare prima di passare a miglior vita. La maggioranza dei negozi che si affacciavano sul lungomare avevano le serrande abbassate, uniche eccezioni il bar-tabaccheria e un piccolo market che metteva in vendita prodotti per la casa.
Avrei pagato non so cosa per assaggiare un trancio di focaccia alla genovese o in subordine della farinata di ceci, ma l'unica pizzeria che si affacciava sul lungomare era chiusa ed avrebbe riaperto i battenti soltanto a tarda primavera. L'insegna luminosa dell'albergo dove avrei preso alloggio era bene visibile in lontananza. M'inerpicai per una ripida salita e in breve tempo raggiunsi l'ingresso dell'hotel.

Quando ero bambina papà e mamma erano soliti portarmi in villeggiatura al mare. Di solito affittavano un monolocale a S. Terenzio, vicino a Lerici, e ci restavamo per un paio di settimane. Da adulta non ero più stata in villeggiatura al mare. Alla vita da spiaggia avevo preferito quella più movimentata delle notti consumate a scopare per le capitali d'Europa, vagabondando da una città all'altra in cerca di non so cosa. Durante questo girovagare avevo conosciuto Annette e la camera d'albergo dirimpetto al mare era diventata il luogo dei nostri incontri, anche se non le avevo mai confidato la ragione di questa mia preferenza.
- Buona sera signorina Erika, ha fatto buon viaggio?
- Sì, direi di sì, grazie...
La moglie del signor Cosimo, un'anziana signora con una leggera gobba sul naso ed il labbro superiore molto spesso e piegato indentro, mi salutò restando al di là del bancone della reception dove era solita accogliere la clientela. Posai la borsa da viaggio sul pavimento e rimasi in attesa che mi consegnasse la chiave della camera, persuasa che Annette non fosse arrivata a destinazione prima di me.
- E' già in camera... la sua amica. - disse con un tono di voce subdolamente ironico.
- Ah! Bene... bene... ci vediamo più tardi allora.
- Sì, certo, la cena vi sarà servita alle otto in punto, mi raccomando! Siate puntuali, non tardate troppo, ci siete solamente voi due in hotel.
- Non si preoccupi, saremo puntuali.



* * *



Annette era distesa sul letto. Le spalle nude sporgevano da una trapunta che avvolgeva per intero il giovane corpo. Teneva il capo accostato su di un cumulo di cuscini e pareva interessata a seguire un programma alla tivù. La stanza era ammobiliata con un letto matrimoniale ed un piccolo armadio. Sopra uno dei comodini uno stoppino bruciava lentamente consumando una candela profumata che subiva gli effetti della fiamma liquefacendosi lentamente, diffondendo nella camera un delicato profumo alla vaniglia.
- Spogliati! - disse Annette appena misi piede nella camera.
Accostai la porta alle mie spalle, diedi un giro di chiave alla serratura impedendo, di fatto, a chiunque di entrare nella stanza. Lasciai cadere la borsa da viaggio su di una sedia e andai a collocarmi davanti alla tivù, con le spalle rivolte ad Annette, impedendole con la mia presenza di guardare le immagini che comparivano sul televisore. Mi liberai della sciarpa e del giubbotto di pelle e li lasciai cadere sulla moquette. Sbottonai la camicetta e rimasi con addosso il reggiseno ed i jeans.
Quello che stavo mettendo in atto era uno strip-tease piuttosto maldestro. Mi liberai delle scarpe e lasciai scivolare i jeans fino ai piedi, insieme alle calze corte, restando con addosso il solo intimo. Misi fine al ridicolo spogliarello liberandomi del reggiseno che lasciai cadere sullo schermo del televisore. Subito dopo scarcerai la passera liberandola dal minuscolo perizoma che la teneva protetta.
- Hai un bellissimo culo, ogni volta che ti osservo i glutei, sporgenti più del normale, resto stupita dalla tua bellezza. Ma lo sai già, eh?
Mi girai verso Annette ruotando i piedi di centottanta gradi, mostrandole per intero il resto dei miei attributi femminili. Lei nel frattempo aveva provveduto a scostare il bordo della trapunta da un lato e, con un gesto del capo, m'invitò a prendere posto accanto a lei.
- Dai, vieni qua. - disse strisciando il palmo della mano sulla parte del materasso a me riservata.
M'infilai sotto la trapunta e cercai un poco di calore nell'abbraccio di Annette.

Il suo corpo era caldo, molto più del mio. Mi strinse forte lasciando che la depredassi del calore che spandeva la sua pelle. Mi venne da pensare a quante persone ci avevano precedute in quel letto e se anche loro erano tristi come lo erano stati mamma e papà la notte in cui si erano suicidati in quella camera, oppure se erano felici come lo eravamo Annette ed io. Restammo raggomitolate, accarezzandoci l'un l'altra, sfiorandoci con le dita, accrescendo il desiderio di possederci a vicenda come succedeva ogni volta che c'incontravamo.
Adoravo il suo gracile corpo. Nutrivo un particolare interesse per le sfumatura bianco latte della sua pelle, e per le lentiggini rosa che coloravano il suo volto. Ma più di tutto mi piaceva scoparla ed essere scopata.
Le punte dei suoi capezzoli incalzarono l'areola dei miei seni strofinandosi contro, eccitandomi oltre ogni limite per il prolungato contatto. Annette mi diede dei piccoli morsi alle labbra, confezionandoli in maniera fuggevole, proseguendo nella sua azione fintanto che mi divincolai dall'abbraccio e trovai la forza di ruotare il capo da un lato. Lei fu lesta nel rincorrermi trascinando le labbra sul mio collo, appena dietro l'orecchio, mordendomi a più riprese, producendo un gradevole solletico. Solo allora deposi le labbra sulle sue e la baciai.
Eravamo armate dell'identica carica erotica. A più riprese ci appropriammo di ogni recesso dell'altra, fino a stare male, consumandoci nel dare e ricevere baci e carezze. Tutt'a un tratto Annette si staccò da me, scese dal letto trascinando dietro di sé la trapunta che condusse oltre i miei piedi, lasciandomi nuda sul letto senza niente addosso ad eccezione della pelliccia di peli, colore del fuoco, che riveste il mio pube.
L'apparecchio televisivo, rimasto acceso per tutto il tempo dell'amplesso, trasmetteva un programma di quiz. Uno dei tanti che quotidianamente riempiono i palinsesti delle emittenti televisive e rimbecilliscono la gente. Annette si dispose al margine del letto. Afferrò la grossa candela profumata alla vaniglia sistemata sul comodino e la sollevò a una decina di centimetri al disopra del mio corpo. Lasciò cadere una lacrima di cera sull'ombelico e un'altra poco più sopra. Sobbalzai nel letto per il calore sprigionato dalla cera bollente sulla pelle. La miscela di paraffina, profumata alla vaniglia, costituente la base della cera, si raggrumò a contatto con la pelle lasciandomi addosso una sensazione di calore estremo e un forte stato di eccitazione.
Annette spostò la candela dall'addome verso il torace, inclinandola di traverso, permettendo alla cera di impiastricciare il mio corpo. Avrei potuto sottrarmi all'impasto di paraffina che si raggrumava sulla pelle semplicemente spostandomi di lato, oppure allontanando il braccio di Annette che sorreggeva la candela. Non feci niente di tutto questo gioendo del piacere che sapeva offrirmi questo tipo di sofferenza.
Annette prese di mira un capezzolo. Lasciò cadere poche gocce di cera sull'areola provocandomi un incandescente dolore. Ogni piccola quantità di cera che si staccava dalla candela andava a rapprendersi appena veniva a contatto con la pelle e assumeva un colore opaco. Mi ritrovai con entrambe le tette ricoperte di cera e con la fica che schiumava umore.
Tenevo gli occhi chiusi, gemendo di piacere, estasiata dalle sevizie che Annette mi obbligava a subire lasciando cadere dell'altra cera sulle cosce e le gambe, compiaciuta per l'opera che stava portando a compimento.
- Hai ancora freddo? - domandò.
- Non più. - dissi con la pelle umida di sudore.
Annette, dopo avere risistemato la candela sul comodino, stese il palmo della mano sulle mie tette e la cera si staccò dalla pelle poco per volta, a scaglie, lasciando sulla pelle solo le tracce di un lieve arrossamento che da lì a poco sarebbe scomparso senza lasciare nessun residuo delle sevizie a cui mi aveva sottoposta. Al pari di una giumenta, mai doma e per niente sazia, desideravo godere ancora del piacere di cui aveva saputo farmi dono
Annette fino a quel momento. Sentivo il bisogno di raggiungere l'orgasmo e la supplicai di insistere nel rovesciarmi addosso altre stille di cera sulle tette. Annette non se lo fece ripetere una seconda volta. Stavolta accompagnò le sevizie masturbandomi con due dita la passera, sfregandomi a più riprese il clitoride. Fui scossa da fremiti di piacere, serrai le palpebre degli occhi e non solo quelle, avida del benessere fisico che mi provocava la presenza delle dita nella fica.
Piacere e dolore divennero un tutt'uno. Sudavo e tremavo mentre ero scopata da Annette. Stavolta, raggiunto l'apice del piacere, non riuscii a trattenermi dall'urlare, soddisfatta per ciò che sapevano risvegliare in me i suoi strumenti di seduzione e raggiunsi l'agognato orgasmo.
Nel box della doccia Annette si prese cura del mio corpo levandomi di dosso le tracce di cera che avevo appiccicato sulla pelle. Avrei voluto scoparla, lì, subito, ma avevo imparato a non essere precipitosa, infatti, lasciai che fosse lei a mondarmi dalle tracce di cera. A disposizione avevamo tutta la notte ed un giorno intero per fare l'amore, dopodiché ci saremmo salutate e ci saremmo riviste dopo un paio di mesi, nel medesimo posto, figli, marito e fidanzato permettendo.

 
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