Embrione

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Omega™
view post Posted on 8/1/2009, 17:42




Dischiusi il portacipria e guardai l'immagine riflessa nello specchietto. Quella ero io, Erika. Trentadue anni portati non troppo bene, forse, ma con tanta voglia di vivere.
Seduta su una panca del consultorio famigliare ero in attesa che giungesse il mio turno per essere visitata dalla ginecologa. Non era la prima volta che andavo a farle visita. Lo facevo periodicamente, almeno una volta all'anno per sottopormi al pap-test, anche se ne avrei fatto volentieri a meno.
Ritrovarmi nella sala d’aspetto dell’ambulatorio in compagnia con donne gravide mi metteva a disagio, seppure non lo davo a vedere. Ascoltavo le confidenze che si scambiavano le partorienti sull'imminente parto dando l'impressione di essere interessata ai loro discorsi. Invece avevo una gran voglia di fuggire dall’ambulatorio al più presto.
Rimanere incinta la consideravo una complicanza determinata da una diabolica scopata. Per nessuna ragione avrei voluto rimanere gravida. Anni addietro quando avevo poco più di vent'anni lo ero rimasta per davvero. Anche se a tutt'oggi non so capacitarmi come sia potuto accadere.
Assumevo la pillola anticoncezionale con regolarità certosina. L'avevo preferita all'uso della spirale in accordo con la ginecologa. L'antifecondativo non mi aveva procurato nessuno degli effetti collaterali descritti nel foglio illustrativo del farmaco, ad eccezione di un senso di tensione mammaria che però non m’infastidiva.
Quando avevo iniziato ad assumere il contraccettivo mi ero chiesta con una certa apprensione se una volta cessata l'assunzione del farmaco sarei tornata di nuovo fertile. Su questa eventualità la ginecologa si era dimostrata molto cristallina rassicurandomi in tal senso.
Il metodo contraccettivo consigliatomi, apparentemente semplice nell'uso, pareva essere sicuro ed efficace a patto di non incorrere in alcuna dimenticanza nell'assunzione della pillola. Cosa che invece era accaduta, perché non saprei spiegare altrimenti quella gravidanza. E poi, nemmeno sapevo chi fosse il padre del nascituro.

In quel periodo, pur avendo come compagno Roberto, conducevo un’altra storia con Gianfranco, un medico specializzando che seguiva il tirocinio nella clinica dove prestavo servizio come infermiera. Mi ero ritrovata a fare più di una congettura sull'eventuale paternità dell'embrione che portavo in grembo, senza sapere chi dei due miei compagni di letto fosse il responsabile dell'inseminazione.
Il ritardo del ciclo mestruale di una decina di giorni fu il segnale rivelatore del mio stato. Un semplice test di gravidanza, consistente nell'immergere uno stick nell'urina, diede risultato positivo confermando il mio stato interessante.
Mi ritrovai incita senza avere un partner su cui fare riferimento. Ero smarrita e non sapevo cosa fare. Non confidai a nessuno qual era mio stato, nemmeno ai miei genitori. Raccontai il mio segreto solamente alla ginecologa in attesa di trovare una qualsiasi soluzione.
Mi si prospettavano due eventualità: praticare l'interruzione di gravidanza, oppure portarla avanti per nove mesi. Nessuna delle due soluzioni mi soddisfaceva appieno.

Pareva impossibile che una semplice scopata fosse portatrice di così tanti problemi. Stavo bene in compagnia di Roberto, ma non lo reputavo l'uomo con cui condividere il resto della vita. Perlomeno non quello con cui sposarmi e mettere al mondo dei figli. Gianfranco invece lo consideravo un tipo divertente con cui uscire alla sera e andare in discoteca, oppure consumare una pizza al ristorante; non mi era mai passata per la testa l'idea d'imbastire qualcosa di serio con lui.
Nelle prime settimane di gestazione ero stordita e confusa. Le tette mi erano aumentate di volume in modo significativo. In alcuni momenti della giornata ero colta da nausea. Andai dall'ostetrica del consultorio per informarmi sull'iter istituzionale che avrei dovuto percorrere nel caso di una interruzione volontaria, senza prendere nessuna decisione in tale senso.
La natura mi venne in soccorso sottraendomi dall’impaccio di prendere una decisione che non avrei voluto compiere. Fra la settima e la ottava settimana di gravidanza sostenni un aborto. Si trattò di un aborto spontaneo con una emorragia di non grossa entità accompagnata da un forte dolore al basso ventre.
Mi ritrovai sola, sul water, ad espellere del materiale ovulare che in altre occasioni avrei scambiato per mestruo, seppure caratterizzato da un flusso di sangue molto diverso dal solito.
Piansi, compiangendomi, ma di quella esperienza non rivelai niente a nessuno, tanto meno ai due uomini con cui avevo scopato. L'ecografia di controllo cui mi sottoposi il giorno seguente l'aborto spontaneo non evidenziò nessuna immagine riferibile ai residui abortivi nell'utero.
 
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